Gli Ordini sono considerati Enti di diritto pubblico, e ciò in virtù della loro costituzione prescritta dalla legge (Cass. Sez. Un. 14.01.1992, n. 1811), ovvero dall’art. 1 della Legge n. 70/1975, dall’art. 3 del D.P.R. n. 68/1986 e dall’art. 3 del D.P.R. n. 267/1987. Inoltre, la legge prescrive la obbligatorietà dell’appartenenza ad essi per coloro che esercitano la professione e in virtù dei controlli ed interventi cui sono sottoposti, delle funzioni pubbliche che svolgono mediante i rispettivi Consigli, quale loro attività esterna permanente. Gli ordini territoriali appartengono al comparto degli Enti pubblici non economici, quindi sottoposti a tutela e vigilanza dello Stato. Riferita alla professione, la locuzione “ordine professionale” sta ad indicare la corporazione dei professionisti iscritti ad un Albo, raggruppati in una associazione, i quali svolgono professionalmente una medesima attività lavorativa.
La stessa denominazione “Ordine” ricorda in maniera stringente il legame corporativo tra più persone aventi il medesimo interesse. D’altronde, non può non evidenziarsi che la disciplina attuale delle libere professioni si sia ispirata, dopo la caduta del regime corporativo, ai tradizionali criteri di autonomia e democraticità, che vigevano prima della Legge 3 aprile 1926, n. 563. I sindacati di professionisti, costituiti in base a questa legge, furono soppressi con il Decreto Legislativo Luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 382 e, nel contempo, vennero emanate nuove norme per la ricostituzione, secondo principi democratici, dei precedenti Ordini professionali, anche se l’opera di adeguamento ai principi costituzionalmente garantiti continua tuttora attraverso l’opera interpretativa della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, trattandosi di una norma emanata prima della Costituzione, datata 1 gennaio 1948. Questo complesso normativo ha fissato alcuni principi generali in ordine alla struttura dei ricostituiti Ordini e Collegi per la professione di ingegnere, architetto, chimico, professionista in economia e commercio, attuario, agronomo, ragioniere, geometra, perito agrario e perito industriale.
La natura giuridica degli Ordini professionali si desume dalla loro finalità, dalla struttura e dalle funzioni, nonché dai poteri di cui sono investiti per via di norme statali e dalla sorveglianza cui lo stesso Stato li sottopone. In pratica, il Collegio, quale Ente pubblico non economico, si caratterizza per la sua base associativa: oltre ad essere Ente esponenziale del proprio gruppo professionale, ha il potere di eleggere direttamente i membri dei propri organi rappresentativi, oltre al potere di decidere le questioni essenziali della vita dell’ente. Pertanto, “Ente” e “gruppo professionale” vengono a coincidere, con la conseguenza che la finalità precipua dell’Ente professionale consiste nella cura degli interessi della collettività particolare costituita dal gruppo professionale, soprattutto sotto il profilo della conservazione e tutela del decoro, della dignità professionale e della sua indipendenza. In caso di affidamento di un incarico professionale in una materia per la quale non si possiede la necessaria abilitazione e specializzazione professionale, decoro e dignità professionale significano rifiutare l’incarico ricevuto, nel rispetto delle norme di legge e di comportamento deontologico. Quest’ultima caratteristica distingue gli Enti professionali da quelli a struttura rappresentativa, i cui scopi soffrono vincoli statutari, e da quelli cosiddetti “istituzionali”, strumentali rispetto alla Pubblica Amministrazione. Si è detto che i Collegi sono organi pubblici non economici, giacché non svolgono alcuna attività economica mediante una struttura imprenditoriale dotata di sufficiente autonomia.
Tale assunto trasuda dall’art. 7, comma 2, D. Lgs. Lgt. n. 382/44, che espressamente statuisce che “ il Consiglio può, entro i limiti strettamente necessari a coprire le spese dell’Ordine o Collegio, stabilire una tassa annuale, una tassa per l’iscrizione nel registro dei praticanti e per l’iscrizione all’Albo, nonché una tassa per rilascio di certificati e dei pareri per la liquidazione degli onorari”. A stigmatizzare il carattere tassativo dell’imposizione degli oneri posti a carico dei professionisti, sta l’ultimo comma dell’art. 7, il quale prescrive che “nessun pagamento, oltre quelli previsti da questo decreto, può essere imposto o riscosso per l’esercizio della professione a carico degli iscritti all’Albo”. Così, il Collegio, in quanto esercente un servizio pubblico è assoggettato alla giurisdizione della Corte dei Conti. Inoltre, per la sua funzione, che si fonda sull’esigenza che la professione possa essere esercitata solo previo accertamento delle capacità professionali del soggetto interessato e sia assoggettata ad un regime di specifica responsabilità sotto il profilo deontologico, è legittimato a far valere, anche in via d’azione, gli interessi del gruppo nel suo complesso, situazione, questa, che non si configura certo, quando l’interesse azionato è quello del singolo componente del gruppo stesso. Infatti, non va dimenticato che il Collegio professionale proprio in quanto ente rappresentativo di una professione il cui esercizio è subordinato al conseguimento di una speciale abilitazione dello Stato, secondo le disposizioni di cui agli artt. 2229 e 2233 c.c. ed a quella di settore, ha una specifica competenza per quanto riguarda la tenuta dell’Albo e l’esercizio della funzione disciplinare, quale organo di giurisdizione domestica, “specialità” fatta salva dalle norme statuali, in quanto disciplinata in epoca precedente alla Costituzione.
Il conferimento da parte di tali funzioni di tutela al Collegio da parte del Legislatore evidenzia la funzione di tutela della collettività e non già quale strumento posto per la difesa degli interessi della Categoria professionale. Le prerogative stabilite per legge agli Ordini professionali non sono strumentali alla difesa di se stessa, ma sono poste a tutela immediata della collettività e solo “mediatamente” a suffragio dei professionisti, assoggettati, peraltro, ad un regime di responsabilità disciplinare sotto il profilo deontologico, che non si estende genericamente alla c.d. “professionalità”, intesa nel senso sostanziale di possesso del titolo di studio e delle attitudini richieste per accedere all’attività regolata ed all’Ordine o Collegio. Il provvedimento di iscrizione nell’Albo si configura come un “atto amministrativo di accertamento”, costitutivo di uno status professionale, maturato con il superamento dell’esame di Stato, che abilita all’esercizio libero professionale, consentito proprio per il tramite dell’iscrizione. Proprio per la propensione alla tutela della collettività, i Collegi possono giocare il proprio ruolo in Europa, che spinge nel senso della liberalizzazione delle prestazioni professionali e dei servizi, onde incentivare la mobilità professionale all’interno dell’Unione Europea. Il Legislatore avrà il compito, comunque impegnativo, di armonizzare la normativa nazionale con gli orientamenti europei e questo comporta un impegno di conversione, oltre che tecnico-giuridico, soprattutto culturale. Un segnale in questo senso lo ha dato la Categoria proprio di recente, quando si è confrontata sul “Regolamento per la Formazione Continua”, ovvero su un codice di autoregolamentazione a base volontaria che stabilisca le regole, onde assicurare un’adeguata formazione professionale al professionista per tutto l’arco della vita (vedi Gazzetta Ufficiale n. 17 del 21 gennaio 2006).
Ebbene, la Direttiva comunitaria recentissima n. 2005/36 (recepita con Legge 25 gennaio 2006 n. 29) già la prevede e sussiste ora l’obbligo per il Governo italiano di regolamentarla con specifico Decreto Legislativo entro i prossimi 18 mesi. I Periti Industriali sono presenti! I Collegi di ogni parte d’Italia hanno inviato note, proposte, integrazioni al fine di migliorare un impianto regolamentare sulla formazione professionale, che non è vincolante in quanto non previsto dalla legge, eppure condiviso. Per questo il Collegio svolge un ruolo importante nel contesto territoriale in cui si trova, purché gli uomini che lo compongono e lo dirigono siano professionisti che, nell’interesse degli altri professionisti, conoscano profondamente la realtà politica, economica e sociale in cui lavorano e possano in tal modo utilizzare gli input provenienti dal territorio come un patrimonio che muta con il mutare del contesto. Così gli strumenti apprestati dall’ordinamento in poteri e facoltà devono essere attivati dai singoli Collegi professionali d’Italia modulandosi con la realtà locale onde ottenere un concreto riscontro nella consapevolezza e con l’avvertimento che il farmaco utilizzato per curare con successo in un posto, può rivelarsi assolutamente inefficace nella cura della stessa malattia insorta altrove! Questa educazione, questa cultura, questa lungimiranza hanno permesso al Perito Industriale di superare le temperie storica e generazionale, gli hanno permesso di sopravvivere ai disastri provocati dal parto nefando, chiamato DPR 328/2001. Con questo spirito riuscirà ancora una volta a ritagliarsi un ruolo rilevante nello scenario produttivo nazionale ed europeo, stringendo la cinghia come ha già imparato a fare, verso il “saper fare”, ma soprattutto per il “saper essere”!